Dazi anche sul cinema: quale impatto sulla produzione italiana?
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L’industria cinematografica americana si trova di fronte a una nuova sfida: l’amministrazione Trump ha introdotto una tariffa del 100% per le produzioni realizzate fuori dagli Stati Uniti. Questo provvedimento, parte della strategia protezionistica dell’ex presidente, rischia di mettere in ginocchio Hollywood, già alle prese con una crisi strutturale. La decisione, che ha acceso i riflettori sui temi del protezionismo e del rilancio del “Made in USA”, potrebbe avere effetti devastanti su scala globale.
Il grido di battaglia di Trump è chiaro: “Vogliamo di nuovo film fatti in America!”. Con queste parole, il presidente USA ha giustificato l’imposizione dei dazi, sottolineando come molte case di produzione abbiano delocalizzato per sfruttare vantaggi fiscali all’estero. Questo approccio, secondo Trump, mina la sicurezza nazionale e indebolisce l’industria interna. Non è un caso che la sua amministrazione abbia già imposto dazi fino al 145% su merci cinesi e almeno il 10% su altre importazioni. La crociata per il cinema americano si inserisce quindi in un contesto più ampio di protezione economica e culturale.
L’industria cinematografica statunitense, però, non vive il suo momento migliore. Dal 2021, la produzione cinematografica è calata del 26%, un declino aggravato da pandemia, scioperi e disastri naturali. Per arginare la crisi, diversi stati, tra cui la California, hanno aumentato gli incentivi fiscali per attrarre produzioni. In particolare, i fondi destinati al settore sono passati da 330 a 750 milioni di dollari all’anno, segno evidente di un’industria in cerca di ossigeno.
Dazi al cinema: la mossa di Trump scuote Hollywood e il mercato globale
Ma quali sono le implicazioni per il cinema internazionale, e in particolare per il cinema italiano? Secondo i dati Anica, le produzioni italiane generano un valore compreso tra 106 e 156 milioni di euro sui mercati esteri. Tuttavia, il panorama non è roseo: l’export cinematografico italiano è già in posizione di svantaggio rispetto ad altri paesi europei, con un interscambio commerciale generalmente negativo. Con l’introduzione dei nuovi dazi, le opportunità di penetrazione culturale negli Stati Uniti rischiano di ridursi ulteriormente.
Nonostante ciò, il cinema italiano ha saputo conquistare il pubblico americano in passato. Pellicole come “La vita è bella” (1997), con un incasso di 57,6 milioni di dollari, e “Il postino” (1994), con 21,8 milioni, rappresentano esempi virtuosi. Ma con le nuove barriere tariffarie, il settore dovrà reinventarsi, adottando strategie innovative per competere in un panorama internazionale sempre più frammentato e complesso.
In questo contesto, il futuro di Hollywood e del cinema mondiale appare incerto. Da un lato, le politiche protezionistiche potrebbero incentivare la produzione interna negli Stati Uniti, ma a scapito della diversità culturale e dell’interconnessione globale. Dall’altro, l’industria cinematografica europea e italiana dovrà trovare nuovi mercati e modalità per sopravvivere, adattandosi a un sistema che sembra voler erigere muri anziché costruire ponti.
La sfida, quindi, non è solo economica, ma anche culturale. Come mantenere viva la ricchezza della produzione cinematografica mondiale in un’epoca di crescenti nazionalismi e protezionismi? La risposta potrebbe risiedere nella capacità di innovare, collaborare e adattarsi a un mondo in continua evoluzione.